La foresta demaniale è un
bosco ricco di fauna selvatica che si estende attorno ai piccoli borghi medioevali di Pietralunga e Montone, delimitato a Nord dalla groppa boscosa dell’Alpe della Luna, a Sud-Ovest dall’Alta Valle del Tevere, e ad Est dalla Serra di Burano e dalle aspre cime calcaree dell’Appennino Umbro-Marchigiano.
Segnalato dalla Regione dell’Umbria come biotopo di particolare interesse naturalistico, presenta al suo interno ambiti territoriali diversi, dotati di idonei strumenti di conservazione e sviluppo. Sono presenti all'interno della foresta degli incantevoli scorci e paesaggi come:
La Valle del Carpina: il torrente Carpina, affluente di sinistra del Tevere, disegna col suo andamento tortuoso uno scenario magico: un ambiente ancora incontaminato, ricco di emergenze botaniche (piante ormai rare come l'Ontano nero ed il Pungitopo) e paesaggistiche (cascatelle in serie, piscine naturali, ponticelli in legno, antichi mulini).
Oasi naturalistica di Candeleto: Area protetta, ampia ed articolata, che si estende per circa 1000 ettari sulla collina di Candeleto, fra le valli dei torrenti Carpina e Carpinella.
La sommità della collina, denominata Monte Croce (m. 735 di altitudine), è rivestita da vaste Pinete di Pino nero, con presenza di Abeti e Pino Silvestre, frutto di rimboschimenti effettuati all’inizio del secolo e che conferiscono al paesaggio un aspetto di tipo alpino. Numerose le specie aniamali presenti in questa oasi: lo Scoiattolo, ghiotto di pinoli, il Ghiro ed Moscardino.
Il resto della fauna selvatica si concentra invece lungo le pendici della collina di Candeleto, dove i Boschi misti di Latifoglie (Querce, Aceri, Carpini, Sorbi e Ciliegi), alternati a pascoli e radure, offrono rifugi sicuri e cibo in abbondanza; qui convivono la Volpe ed il Cinghiale, il Tasso e l’Istrice, mentre Gazze e Ghiandaie volano circospette di ramo in ramo, ed il Gheppio, di giorno, e l’Allocco, di notte, presidiano il cielo.
Oasi naturalistica di Varrea: area protetta costituita da oltre novecento ettari di bosco ininterrotto di Cerro e di Faggio che tappezza le pendici di tre profondi valloni, rifugio naturale per un piccolo nucleo familiare di Lupi che danno il nome allo stupendo sentiero che la attraversa: gli Anelli del Lupo.
L’area sommitale, caratterizzata da versanti fortemente erosi, con roccia nuda affiorante (che in acuni tratti forma suggestivi CALANCHI) costituisce una eccezionale balconata sulle catene montuose adiacenti: Serra di Burano, Monte Nerone, Monte Catria e Monte Cucco.
Pieve de' Saddi
La Pieve de' Saddi, distante da Pietralunga circa 12 Km., è un edificio a pianta rettangolare allungata, diviso in tre navate, separate da colonne massicce e squadrate; è coperto da un soffitto a capriate e arricchito da un' abside di forma semicircolare e dal portico o nartece. É il tipico esempio della Basilica paleocristiana. La costruzione è saldamente vincolata al suolo e appoggia sopra una cripta, di dimensioni ridotte rispetto al piano superiore, ma che si accorda perfettamente con l'insieme di tutto l'edificio. Dal piano sacrificale, attraverso anguste scalette, si accede alla cripta dove, in origine, era situata la tomba di San Crescenziano. Sopra la scala sinistra, non può sfuggire un pregevole bassorilievo della fine del XIII° secolo raffigurante San Crescenziano nell'atto di uccidere il drago. La Chiesa è dominata da una torre del IX° secolo che si eleva alta e possente sulla vallata, benchè priva della merlatura originale. Il torrione, nella sua fattura, e di mirabile eleganza: all'interno vi è una specie di vestibolo risalente al XV° secolo, con volticelle sostenute da mensole, e da cui ha inizio una scala sulla cui sommità troneggia uno stemma della famiglia Vitelli in maiolica cromata, del 1521. Una finestra guelfa attribuisce distinzione alla facciata della torre: sembra che da qui si affacciassero i Vescovi a benedire il popolo, che si raccoglieva a Saddi durante le feste in onore del Patrono.
Il territorio pietralunghese è stato testimone anche della affermazione del cristianesimo in Alto Tevere; di ciò fanno fede le vicende di San Crescienziao, un legionario romano al quale la leggenda sacra attribuisce l'uccisione di un drago che infestava le nostre zone alle porte di Tiferno (Città di Castello). Crescenziano, messaggero della nuova dottrina, venne decapitato e sepolto a Pieve de' Saddi, dove, a ricordo, sopra le vestigia di un preesistente tempio pagano, venne edificata la Pieve, per accogliere le spoglie del martire.
Santuario della Madonna dei Rimedi
La Chiesa, tuttora officiata (il sabato pomeriggio vi si celebra la messa), è situata a sud, sulla provinciale per Umbertide, a poco più di un chilometro di distanza dal centro storico di Pietralunga. La seconda domenica di settembre di ogni anno vi si celebra la tradizionale Festa della Madonna dei Rimedi.
Era sorta, contemporaneamente a quella principale, come Pieve extra urbana di Pietralunga. Nei primi anni del '500, per un fatto miracoloso - la Madonna era apparsa ad alcune fanciulle e ad alcune monache del Convento benedettino di Santa Maria del Ponte o delle Soraccia - divenne un centro di intensa devozione mariana e nel XVII° secolo, ampliata ed abbellita, assunse le caratteristiche architettoniche odierne. Secondo la tradizione sacra si ritiene che vi abbia pernottato San Francesco, durante i suoi frequenti pellegrinaggi da Assisi, a Gubbio a alla Verna.
Museo Ornitologico
La storia del Museo Ornitologico di Pietralunga comincia nel 1969 , quando Silvio Bambini fece imbalsamare un fagiano donatogli da un amico. Dopo qualche anno nacque una raccolta che sarebbe presto diventata una vera e propria collezione della fauna del territorio umbro. Silvio Bambini, animato dall'intenzione di conservare campioni di selvaggina locale, di cui si rischiava di perdere anche la memoria, riuscì in poco tempo a recuperare numerosi esemplari di specie diverse grazie anche alla collaborazione di molti cacciatori dell' Alta Valle del Tevere. Gran parte di queste specie sono oggi tutelate dalla vigente legislazione venatoria.
Quasi tutti gli uccelli e i mammiferi furono acquistati e fatti imbalsamare dal Bambini, il quale realizzò anche le teche di vetro per la loro conservazione. Agli inizi del 1976, la collezione si arricchì a tal punto che il curatore decise di esporre al pubblico per la prima volta gli oltre 230 campioni in un locale di via Albizzini a Città di Castello. Nel gennaio 1978 lo stesso Comune di Città di Castello, riconoscendone il valore naturalistico, concesse due piccole sale all'interno della prestigiosa villa-museo Cappelletti, importante edificio in stile neoclassico. Durante la prima metà degli anni ottanta Silvio Bambini continuò a incrementare la sua collezione nella speranza di poter allestire un vero e proprio museo ornitologico. Nel 1989 la Comunità Montana Alto Tevere Umbro si aggiudicò l'acquisto della collezione ornitologica e la sua conservazione come testimonianza del patrimonio faunistico umbro. Oggi la raccolta è ospitata nell'ex caserma delle Guardie Forestali di Pietralunga, recentemente ristrutturata grazie ai fondi della Regione Umbria e divenuta sede del Museo Ornitologico Naturalistico "Silvio Bambini". Essa si trova all'interno dell' oasi naturalistica di Candeleto, caratterizzata da estesi boschi di conifere e querce, ove la vegetazione dell' alta collina, in parte spontanea e in parte impiantata dall'uomo, negli anni tra il 1935 e il 1938, nel tentativo di ricoprire un' area rimasta incolta a pino nero d'Austria, si alterna a pascoli e campi coltivati, offrendo un habitat idoneo a molte specie di animali.
Molino delle mandrelle
Le prime notizie su questo mulino si hanno grazie alla documentazione della Carta Idrografica del 1892 ma recentemente si è riusciti a trovare notizie più fresche riguardo a questo opificio. Il molino, da cereali, era alimentato dalle acque del torrente Carpina, attraverso una derivazione costruita con una sorta di diga in sassi. Si tratta del molino più a monte che si ha modo di incontrare lungo il maggiore corso d'acqua del territorio.
Nel 1927 il molino era dotato di due macine a palmenti, una per la macinazione del grano a resa integrale e l'altra per il granoturco e le biade.
Dopo diversi passaggi e concessioni, oggi l'edificio è di proprietà di Broccoli Onorio di Città di Castello, ma di originario resta poco. Il primo molino è stato ristrutturato integralmente ed è oggi la casa delle vacanze dell'attuale proprietario, è tuttavia un ambiente molto fresco come è possibile constatare. Il secondo molino non è stato ristrutturato ed è oggi pericolante, qui erano le due macine per le biade, mentre nel primo vi erano quelle per il grano tenero.
La porta di accesso del primo molino conserva l'anello per legare il bestiame, ma mentre la prima è più grande, la seconda porta è veramente piccola e il vano è di dimensioni ridotte e molto basso.
Mulino cainardi
Il mulino cainardi viene identificato come molino a cereali ed atto anche alla produzione dell'olio, de era alimentato dalle acque del fiume Carpina attraverso una derivazione con diga in legno. Il molino produceva grandi quantità quotidiane di sfarinate direttamente per i consumatori. È facile immaginare come tutto il giorno gli animali facevano la fila per portare i sacchi al molino; chi abitava più lontano aspettava i propri sfarinati; così il molino diventava un luogo di conversazione, di risate ed i scherzi, oltre che di scambio di opinioni e confronto su problemi.
Il molino è l'unico nel territorio che risulta completo in ogni sua componente: potrebbe anche essere funzionante visto il buono stato di conservazione e divenire magari centro delle tradizioni popolari locali o “museo” di un'attività della quale tutti hanno dimenticato l'esistenza e il significato per la conoscenza della civiltà contadina delle passate generazioni.
Le "Cascatelle"
E' un tratto naturalistico del torrente Carpina, presso località Col di Pinzo nel quale il torrente fa tre salti, che tutti gli abitanti del luogo chiamano "Cascatelle di Col di Pinzo".
Un luogo affascinante immerso nel verde e assolutamente incontaminato.
Molino caigisti
Il mulino caigisti è uno degli opifici meglio restaurati anche se è posizionato proprio a ridosso del torrente Carpina.. Nel 1932 le macine avevano un diametro di 120 cm e la produzione di grano media era di circa 50 kg all'ora.
Oggi il vecchio edificio è stato trasformato in una bellissima casa. Nella ristrutturazione si è comunque tentato di conservare con gusto i vari elementi e i materiale della vecchia costruzione che è stata ampliata. Per avere accesso all'edificio bisogna attraversare un ponte sulle acque del torrente Carpina e l'ambiente circostante è molto suggestivo. Infatti, intorno si trovano sorbi, salici, cornioli e ciliegi.
Il molino era costituito da un unico vano: all'ingresso però c'era una piccola stanza utilizzata per trattenere gli animali con i quali si giungeva al mulino. Il molino, senza dubbio, serviva ed era fondamentale pr tutte le famiglie che abitavano la zona di Caigisti.
Mulino ex casella o mulino di sotto
Il Molino di Sotto viene presentato come molino di ripresa del Molino di Sopra (o Molino di S. Vincenzo), quindi sempre alimentato dalle acque del torrente Carpinella. Esso era destinato alla macinazione del frumento a resa integrale per conto terzo e per la macinazione del granoturco e delle biade.
Azionato esclusivamente a forza idraulica, il molino poteva produrre sfarinati di cereali, per lo più di grano tenero e granoturco, solo per conto dei consumatori diretti.
Oggi non conserva più le fattezze di un tempo, ma la porta d'ingresso è però ancora riconoscibile per la presenza di due anelli ai lati, utilizzate un tempo per legare gli animali che trasportavano i sacchi di granaglie e la farina. L'edificio conserva solo in parte la forma del vecchio mulino. Il canale di derivazione oggi non è più riconoscibile e visibile. Nel giardino è comunque possibile ancora oggi vedere le vecchie mole dell'impianto.
Mulino del colle
Di questo molino mancano recenti notizie, le prime vennero reperite dalla Carta Idrografica del 1893, dove veniva descritto come molino da cereali e olio. Anche questo mulino è alimentato dalle acque del torrente Carpina, attraverso una derivazione con diga in legno. Era comunque un impianto molto grande, ancora oggi sono visibile le tre bocchette che permettevano all'acqua del bottaccio di cadere all'interno e di azionare le macine. Il mulino nel suo antico splendore e nel periodo più florido era in grado di produrre quantità giornaliere molto elevate. Il mulino nel corso degli anni diminuì sempre la sua capacità di lavorazione e al contempo peggiorò il suo stato di mantenimento. Putroppo, attualmente lo stato di conservazione è pessimo ed è un peccato perchè con il passare del tempo nessuno avrà più modo di individuarlo e conoscerne la storia.
Fonte del drago
La Fonte del drago è una sorgente d'acqua solforosa ed è collegata con una leggenda locale. Crescenziano era un soldato romano nato da genitori nobili e cristiani, fin dall’infanzia dedito a opere buone, rimasto orfano del padre e della madre, distribuì quasi tutte le sue ricchezze ai poveri. Sotto l’imperatore Diocleziano fu esiliato da Roma, andò in Etruria e poi si stabilì dalle parti di Tiferno, presso il Tevere.
La leggenda narra che “Qui un grande drago spesso si aggirava intorno alla città, incuteva terrore agli uomini, devastava i campi, divorava persone e greggi.
Crescenziano, mosso a pietà per tanta sciagura, implorò l’aiuto dell’Onnipotente, ma per divina ispirazione seppe che quello era un castigo per le genti dedite all’idolatria. Cominciò allora a predicare che se volevano essere liberati da quella belva feroce non dovevano più fare sacrifici agli dei. Quando la gente abbandonò gli errori e si convertì, il soldato di Dio aggredì il drago e l’uccise.”
Il drago di cui parla la lettura può essere stata in realtà una belva sconosciuta, ma, più facilmente, è la personificazione dell’idolatria che Crescenziano sconfisse con la sua predicazione e il suo esempio.